Coro della chiesa parrocchiale di Sant’Eusebio a Castel San Pietro; stucchi di Francesco Pozzi, affreschi di Carlo Innocenzo Carloni, 1756-1759.
Foto: Anastasia Gilardi
« Il disegno è l’arte di condurre una linea a fare una passeggiata. »
Paul Klee (1879-1940)
Fra le possibili definizioni di confine si è detto innanzitutto che quest’ultimo corrisponde soprattutto ad una condizione umana, mentre in secondo luogo è perlopiù considerato una linea di larghezza uguale a zero - dunque senza spessore -, visibile ed inequivocabile, che costituisce un limite, un segno di demarcazione dal forte valore sia simbolico che materiale.
Ed è proprio partendo da questa idea del confine come linea - chiaramente mutevole sia nel tempo che nello spazio - che vogliamo tentare di stabilire un confronto con un ambito a dire il vero molto distante, ossia quello delle arti figurative e più in generale della restituzione di una superficie attraverso elementi quali il punto, la linea ed il colore, laddove questi assumono una dimensione spaziale e anche plastica. Così gli artisti, nel corso dei secoli, hanno sperimentato in lungo e in largo l’uso della linea facendola diventare uno dei principali strumenti del loro operato. Fra i periodi più proficui a tal proposito, figurano alcuni decenni, all’incirca fra gli anni ’20 e ’60 del XVIII secolo, che vedono fiorire il gusto ed il linguaggio rococò, con le diverse sfaccettature sovente indicate attraverso dei termini quali stile reggenza, Bandelwerk, barocchetto o rocaille, a dipendenza dei contesti geografici e culturali. Una stagione artistica caratterizzata dall’adozione della linea curva nelle svariate possibilità espressive, che alcuni storici dell’arte hanno definito con l’espressione linea della bellezza, per l’estrema eleganza formale, la raffinatezza e l’armonia che contraddistinguono generalmente molte creazioni nei decenni centrali del Settecento, dall’architettura fino alle arti applicate. Una linea che per certi versi e magari con qualche forzatura, ricorda visivamente quella che segna il confine tra Svizzera e Italia in corrispondenza della Valle di Muggio, una linea che serpeggia nervosamente tra colline, dossi, avvallamenti, dirupi e cime come pure tra boschi, prati e rocce.
Una linea sinuosa, morbida e fluttuante su cui si impostano anche alcune opere settecentesche realizzate nel medesimo territorio, che vogliamo ricordare brevemente nelle prossime righe.
Partendo dalla chiesa parrocchiale di Sant’Eusebio a Castel San Pietro, dove lo stuccatore locale Francesco Pozzi, in collaborazione con il pittore Carlo Innocenzo Carloni, tra il 1756 ed il 1759 ha incorniciato gli affreschi e le tele realizzati dall’intelvese sulla volta e sulle pareti del coro, con dei leggiadri e ariosi stucchi plasmati seguendo una linea ondulata che prende lo spunto dall’aspetto grafico delle due lettere dell’alfabeto c e s. Con un accenno di doratura che la mettono ancor più in risalto. Un cordone che corre libero lungo la muratura unendo i diversi elementi decorativi - dipinti e stucchi - in una fusione delle arti di tipo illusionistico e nella continuità del gusto tardobarocco.
Coro della chiesa parrocchiale di Sant’Eusebio a Castel San Pietro; dettagli.
Foto: Leonardo Ceppi
Per poi risalire la valle e fare tappa alla chiesa parrocchiale di San Siro a Bruzella, sulla cui facciata, realizzata nel 1765 da autori finora ignoti, ritroviamo le linee serpeggianti e sinuose nei graziosi e delicati stucchi che circondano l’apertura centrale e che delimitano una targa con scritta nell’attico superiore, quest’ultimo sormontato da un cornicione anch’esso ondulato.
Facciata della chiesa parrocchiale di San Siro a Bruzella.
Foto: Ivano Proserpi
E infine giungere sul sagrato davanti alla chiesa parrocchiale di San Lorenzo a Muggio, la cui facciata rappresenta un piccolo e sapiente capolavoro nell’uso della linea curva attraverso le sue svariate possibilità espressive: dal dinamico cornicione aggettante che corona l’intera struttura e che ne sottolinea la convessità, ai ricami in stucco che inquadrano l’apertura oculare dai profili irregolari nel registro intermedio; dalle morbide e spezzettate profilature del cornicione mediano al repertorio di motivi vegetali che ornano le lesene e le specchiature. Si tratta di una facciata edificata intorno al 1760 dal capomastro Giuseppe Fontana e verosimilmente decorata da una bottega di stuccatori facenti capo alla famiglia Cantoni di Cabbio, emigrati e attivi nel Ponente ligure.
Facciata della chiesa parrocchiale di San Lorenzo a Muggio.
Foto: Ivano Proserpi
Tre esempi significativi che mettono in primo piano il concetto di linea come filo conduttore dell’operare umano: per gli artisti attraverso la creazione dei propri lavori, per i cartografi - per conto dei governi degli Stati - attraverso la definizione del tracciato di un confine. E la mappa con i confini del Mendrisiotto realizzata nel 1781 da Pietro Neuroni ne è uno splendido esempio.
Neurone, Pietro: [Vogtei Mendrisio], disegnata da Sigmund Spitteler, 1781. Zentralbibliothek Zürich,
MK 390, https://doi.org/10.7891/e-manuscripta-13195 / Public Domain
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