Con questo contributo proponiamo lo sguardo intimo e personale di un fotografo ticinese le cui opere saranno esposte nella mostra temporanea “Pezzi di frontiera. Geografie e immaginario del confine” che il MEVM si appresta a inaugurare e su cui verranno fornite ulteriori comunicazioni nei prossimi giorni.
Stefano Spinelli studia fotografia nella scuola d’arte Fortman Studios di Firenze. Tra il 1985 e il 2001 risiede a San Francisco, Ginevra - dove si è laureato in sociologia - e Gerusalemme. Nel 2004 apre un suo studio fotografico a Ponte Tresa, suo luogo d’origine e terra di confine. Si definisce un esploratore delle zone di frontiera della fotografia.
www.stefanospinelli.ch
Nello sguardo è insinuato quel limite oltre il quale non ci è dato andare.
Di quell’Oltre cogliamo una magmatica presenza: negli occhi sono incisi la gioia, il dolore, il timore, la rabbia, l’orgoglio… Dietro a quel baluginare c’è vivo pensiero in azione. E come di solito accade, di fronte a un confine l’essere umano è attratto e respinto. Sguardi in cui rifugiarsi o dai quali sfuggire.
Gli sguardi chiamano, attirano, interrogano, invitano. Il desiderio di esplorare quel vago e vivo territorio nasce, penso, dal bisogno di superare i limiti della propria stretta esistenza. Un bisogno di fondersi nell’Altro per avvicinarsi ai confini dell’immenso. Per perdersi in una sorta di indeterminatezza e rinascere Altro e Altrove.
Ma, normalmente, nella vita di tutti i giorni a questo sbocco non giungiamo. Vi è qualcosa nella nostra stessa natura che ce lo impedisce. Oltrepassare quel confine comporterebbe la perdita dei riferimenti che ci permettono di riconoscere e interagire adeguatamente con i dati di realtà.
Il bisogno d’integrità della nostra identità individuale prevale. Ma non solo: entrare in quell’Oltre significherebbe annientare la sacralità di quello spazio, di quel luogo in cui si genera attimo dopo attimo l’essenza di ciò che siamo.
Nello sguardo si annodano queste due irrisolvibili tensioni, che in fondo caratterizzano il nostro esserci: il bisogno di unirsi, per sconfiggere la finitezza che ci è propria e il timore di perdere ciò che ci definisce nella nostra individualità e rende unici e insostituibili i nostri percorsi. L’esperienza dello sguardo, pratica d’ordine quotidiano e in apparenza banale, è invece quanto di più forte parla della tragica – ma in un qualche modo anche beffarda – condizione umana, dell’essere insieme e irrimediabilmente separati.
In che misura la fotografia è in grado di cogliere, tradurre e trasmettere la realtà, la vita? Può la fotografia, un mezzo del tutto meccanico, addentrarsi in quei territori intimamente caratterizzati dall’indeterminato, dall’ambiguo, dall’inesprimibile? Fotografando sguardi provo a trasmettere la loro profonda umanità, con la consapevolezza che nella loro fissità potranno unicamente suggerire le questioni che ogni sguardo porta con sé. E qualche briciolo della vita che in essi si condensa.
Stefano Spinelli, fotografo
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Testo e fotografia: © Stefano Spinelli