La recinzione in lastre di calcare conficcate nel terreno taglia il versante tra gli alpi di Génor e Nadigh in Valle di Muggio.
Lunga diverse centinaia di metri, essa divideva i prati da sfalcio privati a valle dai pascoli comunitari a monte, seguendo la curva di livello dei 1’300 m di altitudine.
« La ripetizione continua di una sequenza di semplici operazioni come scavare una buca, piantare un palo, tendere un filo di ferro tra un palo e l’altro, e soprattutto la sua facilità e velocità di esecuzione, possono trasformare non solo un paesaggio, ma un intero modo di concepire lo spazio. Pensare un confine e costruire un recinto sono pratiche omologhe. [...] Così, i due termini si confondono e raccontare la storia di uno conduce continuamente a incrociare e a seguire le vicende dell’altro. Le due immagini, quella del recinto e quella del confine, vengono così a sovrapporsi anche metaforicamente. »
(Pietro Zanini, Significati del confine. I limiti naturali, storici, mentali, Milano, Mondadori, 2000)
Quello dei recinti, a dispetto del concetto di spazio chiuso che essi veicolano, è un tema sconfinato. Delimitare un’area o una proprietà, erigere barriere difensive e costruire recinti sono operazioni che nascono da esigenze comuni a molte società umane, ma si declinano in infinite varianti e soluzioni tecniche.
Le recinzioni agricole, ad esempio, possono essere considerate tra le più interessanti e variegate forme di delimitazione nel territorio. Nate dalla necessità di impedire l’accesso ai coltivi o regolare gli spostamenti del bestiame, le recinzioni rurali sono elementi che strutturano il paesaggio e riflettono un’ampia diversità di strategie, risorse e culture. O, meglio, lo erano: questo patrimonio è andato in gran parte perduto con l’avvento dei materiali edili costruiti in serie e, più recentemente, delle recinzioni elettriche.
Quale ne sia lo scopo, in ogni epoca si è riposta particolare cura nella costruzione di mura e recinti, per cui in passato - ma anche nel presente - si investirono enormi risorse.
Le mura continuano a segnare il paesaggio, il nostro immaginario e le nostre ideologie: la Grande Muraglia cinese, il Vallo di Adriano, le mura fortificate di molte città europee, il Muro di Berlino, fino alle ipertecnologiche barriere ai confini di Arabia Saudita, Israele, Stati Uniti e di molte altre nazioni.
Per tornare alla regione insubrica non possiamo certo dimenticare la “ramina”, la rete metallica di difesa fiscale realizzata, ampliata e consolidata a cavallo tra gli ultimi anni dell’Ottocento e la metà del secolo scorso dalle autorità italiane per contrastare i traffici di frodo. Le solide paline di ferro, il filo spinato, le imponenti caserme delle guardie di finanza abbandonate in mezzo ai boschi ci inducono a riflettere su questi luoghi di transito e di contese, in passato frequentati non solo dai contrabbandieri e dai loro rivali, ma durante la seconda guerra mondiale anche da profughi, partigiani, militari e disertori.
Cos’è in realtà una frontiera? La mente corre alla DDR, terra di confini, recinti e muri. Qui, malgrado l’oppressione dell’economia pianificata e del controllo sistematico delle attività, riuscirono a fiorire tra la popolazione iniziative spontanee e improvvisate, come le recinzioni da giardino autocostruite con materiali di recupero.
Come rimarcato da due ricercatrici alla fine degli anni ’80 – autrici del progetto “Zaunwelten” – nei recinti si riflettono le storie e l’estro creativo della gente comune, in velato contrasto con il regime autoritario e soffocante. Il tema del confine viene così fatto proprio dagli abitanti che però ne capovolgono il senso e ne sfidano il rigore e la solennità. Il mostro viene, in qualche modo, addomesticato.
È di questi giorni la notizia dell’ampliamento della via del contrabbando nella zona tra Erbonne e il Sasso Gordona da parte di autorità ed enti del versante intelvese. Chissà che non si possa estendere questi sentieri anche alla Valle della Crotta! Si potranno così trasformare i recinti in luoghi di memoria.
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