Selve castanili

Castanicoltura
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Valle di Muggio allo specchio
Paesaggio incantevole, paesaggio mutevole

a cura di Paolo e Silvia Crivelli
MEVM, Ticino Nostro, 2017

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Un bene comune e indiviso

 

“Il territorio della Valle di Muggio è suddiviso in 8 Comuni i quali posseggono oggi ancora il Patriziato. Nel Cantone Ticino il Patriziato è costituito da una comunità di beni terrieri formante il patrimonio delle più antiche famiglie del villaggio, e l’idea di questa istituzione era quella di assicurare ad ogni azienda domestica un minimo di proventi alimentari che la mettesse al riparo dalla fame. La maggior parte dei terreni, boschi e pascoli costituenti il territorio comunale è di proprietà del Patriziato che si regge in forma autonoma ed indipendente dal comune ed a capo del quale sta l’amministrazione patriziale. La qui unita cartina schematica fornisce un’idea della suddivisione della proprietà quale si verifica in tutti i Comuni dell’alta Valle di Muggio. Sono di proprietà privata le case d’abitazione, gli orti, i campi e prati nelle immediate vicinanze del villaggio; subito al di là di questa zona coltiva comincia e si estende la proprietà patriziale la quale abbraccia generalmente tutta la rimanente parte del territorio comunale. I possedimenti patriziali si distinguono in parte indivisa e in parte divisa: costituiscono la parte indivisa le selve castanili (denominate semplicemente selve) e i boschi di altre essenze” (Brenni G. C., L’importanza economica del castagno nel Cantone Ticino e nell’Italia settentrionale, Mendrisio, 1937, pp. 126-127).

 

 

Jus plantandi: la proprietà dell’albero, ma non della terra

 

“Gli alberi che si trovano nelle selve sono di proprietà delle singole famiglie attinenti del Comune, siano esse patrizie o non patrizie, in forza del jus plantandi, diritto di origini remotissime che accorda a determinate famiglie la facoltà di piantare e coltivare sul terreno patriziale alberi di castagno e di noce, di goderne i frutti ed il fogliame e di disporre del legno delle stesse. Una famiglia patrizia è tenuta a pagare all’Amministrazione patriziale un canone annuo di Fr. 0.25 ogni 100 franchi di valore degli alberi di sua proprietà; per una famiglia non patrizia, detto canone è di Fr. 0.35 (questi canoni sono riferiti al patriziato di Bruzella); la valutazione degli alberi è affidata ad una speciale commissione la quale procede ogni 10 anni alla stima.

L’altra parte di proprietà indivisa, formata da boschi di varie essenze situati oltre gli 800 metri di altitudine (al di sopra della zona castanile) dove crescono quasi esclusivamente il faggio e l’ontano, è caratterizzata dal fatto che le piante appartengono alla Comunità patriziale, e non ai privati come nel caso delle selve, ed il reddito dei tagli periodici va a favore della cassa patriziale” (Brenni G. C., L’importanza economica del castagno nel Cantone Ticino e nell’Italia settentrionale, Mendrisio, 1937, pp. 126-131).

 

 

L’albero numerato

 

Ogni albero, a seconda delle dimensioni, aveva un preciso nome e valore e nel caso di compra-vendita tra le famiglie bisognava rispettare un prezzo fisso, come si vede nella tabella sottostante.

Categoria Denominazione Diametro Valore Fr.
1. Paletto fino a cm 10 0.5
2. Palo da 10 a 20 cm 2-3
3. Palone da 20 a 30 cm 4-5
4. Terzera da 30 a 40 cm 6-8
5. Somero da 40 a 50 cm 8-10
6. Matrona oltre 50 cm 12-18

 

 

La raccolta

 

Par San Michée la crüèla l’è sóta ai pée. Per San Michele (29 settembre) le prime castagne sono sotto i piedi: inizia la raccolta. Par San Michée a sonava al campanún: esso avvertiva che a capre e pecore l’accesso alle selve era proibito e che ognuno poteva andare a raccogliere le proprie castagne. Per questa data la selva l’éva staia mundada (si era provveduto a pulire il sottobosco falciando erbe, felci ed eliminando arbusti in modo da facilitare la raccolta). Con il materiale ottenuto, i proprietari costruivano la ròsta, una specie di bassa siepe che sui pendii impediva alle castagne di rotolare sotto alberi altrui, mentre in pianura delimitava l’area di raccolta tra due confinanti. Si provvedeva anche a tracciare dei sentieri tra i frutti caduti, per evitare che qualcuno, per raggiungere i propri castagni, calpestasse le castagne altrui.


La raccolta delle castagne avveniva usando un limitato numero di attrezzi: le mani, qualche semplice utensile, un recipiente. Per raggiungere le fronde più alte e far cadere i ricci si usavano lunghe pertiche e ci si arrmpicava sulle piante. I mezzi limitati e le operazioni della raccolta sono sorprendentemente simili a quelli osservati in altre parti del mondo. Tecniche, attrezzi e gesti sono testimoni del carattere arcaico della coltura della castagna. Collegati gli uni agli altri propongono uno dei rituali tipici del mondo rurale tradizionale. Ripercorriamolo attraverso gli oggetti, cercando di ritrovarne i ritmi.
La pèrtiga: gli uomini impugnano due pertiche (la pèrtiga: asta di legno di castagno o nocciolo) munite di ganci, e tenendone una per parte, facendo pressione coi piedi contro il tronco, si issano, spesso cumè gatt, sui castagni, e una volta lassù i pertigava tütt!
Se a Caneggio bacchiare era la norma, a Muggio ciò non avveniva. Qui la raccolta delle primaticce (crüelá) procedeva speditamente, perché la selva era pulita e a terra si trovavano praticamente solo le castagne: sa guardava mía tant da fin, sa crüelava, e ad essere usate erano ... le mani.
Al restèll, al raspiröö (o restelett): servivano per riunire i ricci e le castagne cadute a terra; questo lavoro ripropone l’uomo, o, in questo caso specifico, spesso la donna, nell’antichissimo ruolo del raccoglitore. A Caneggio al raspiröö serviva pure, quando i piedi non bastavano a sdiricciare. A Muggio lo stesso attrezzo veniva usato solo quand gh’éva gió la föia, cioè quando si raccoglievano le varietà di castagne più tardive (rüspá), ed allora, per scoprire i frutti, bisognava scostare le foglie. E così, se a crüelá sa fava in prèssa, quand sa rüspava ga vuréva un puu da témp e ... ci si ritrovava con le dita punte.
Al sachett: vi si mettevano le castagne raccolte che venivano poi versate in contenitori più capienti. Al sachett era fatto di tela resistente; per comodità e per avere entrambe le mani libere, lo si portava affrancato alla vita come un grembiulino.
Al gèrlu: usato con sacchi e cavagnöö per il trasporto.
Par San Martín (11 novembre) a tornava a soná al campanún: esso annunciava che, a partire da quel momento, i proprietari che non avevano raccolto le proprie castagne perdevano ogni diritto su di esse; iniziava il libero pascolo e si poteva ná pus a rüsp (raccogliere ovunque le castagne rimaste). Solo allora si poteva disfare la ròsta e lí sa n truava sótt béi.

Tratto da: Gilberto Bossi e Silvia Crivelli, “L’albero della vita”, in Valle di Muggio allo specchio. Paesaggio incantevole, paesaggio mutevole, a cura di Paolo e Silvia Crivelli, MEVM ; Fondazione Ticino Nostro, 2017, pp. 154-165.
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