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La scoperta del Monte Generoso
a cura di Paolo Crivelli e Silvia Ghirlanda
MEVM ; Dadò, 2011

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Valle di Muggio allo specchio
Paesaggio incantevole, paesaggio mutevole

a cura di Paolo e Silvia Crivelli
MEVM, Ticino Nostro, 2017

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Flora e vegetazione del Generoso

 

Il manto vegetale del Monte Generoso ha notevole importanza non solo geografica, per l’incanto e la varietà dei suoi paesaggi vegetali, ma anche geobotanica, per la dovizia di flora e molteplicità di vegetazione. A tutt’oggi, esse sono reputate patrimonio naturalistico il cui valore merita di essere conosciuto sia dal punto di vista scientifico sia da quello divulgativo, di essere protetto per legge e conservato con provvedimenti ecologicamente appropriati.

Monte Generoso, Sighignola e Monte Caprino – concatenati in un insieme naturale e unitario – dal 1975 sono considerati come una delle “zone di interesse naturalistico e paesaggistico […]” d’importanza cantonale il cui delicato tessuto vegetale e, in senso più lato, il cui ambiente naturale meritano adeguate misure di protezione. Dal 1983, il Monte Generoso è iscritto anche nell’ “Inventario dei paesaggi, siti e monumenti naturali d’importaza nazionale”. Queste norme federali e cantonali, insieme con molte altre inerenti a campi specifici della protezione della natura, sono in accordo sia con i contenuti basilari della “Carta mondiale della natura”, proclamata nel 1983 dalla Organizzazione delle Nazioni Unite, sia con numerose altre convenzioni internazionali.

Sono circa 850 le specie di fanerogame e felci, spontanee o subspontanee, che popolano il Monte, ossia un terzo di tutte le specie della flora della Svizzera. Stando a Jäggli (1954), sono circa 200 le specie di muschi, un buon quinto della flora dei muschi della Svizzera. Sul continente europeo quelle specie sono diffuse in aree molto più estese di quella del Monte Generoso e della Svizzera stessa. In esse trovano condizioni climatiche generali che soddisfano le loro esigenze biologiche. Facciamo l’esempio delle principali piante legnose: Fraxinus excelsior è specie europea; Ostrya carpinifolia, euromeridionale; Cytisus scoparius (Ginestra dei carbonai), euroccidentale; Celtis australis (Bagolaro), mediterranea; Viburnum opulus, eurasiatica; Acer campestre, eurasiaticoccidentale; Fraxinus ornus (Orniello), euromeridionale e asiaticoccidentale; Laburnum alpinum (Maggiociondolo di montagna), montana medio e sudeuropea.

Già per il fatto che essa annoveri alcune specie spontanee che in tutto il resto della Svizzera mancano – pensiamo anche solo a Paeonia officinalis e a Asphodelus albus – può essere nutrito nei ticinesi un naturale e comprensibile sentimento di orgoglio, sebbene con la consapevolezza che la prima sia specie diffusa sulle montagne europee orientali e meridionali e che la seconda, sudeuropea, sugli Appennini sia vista come specie invasiva di pascoli. Ma ciò nulla toglie alla bellezza e al potere attrattivo che quei fiori hanno per lo sguardo umano. Li possiamo ammirare nella prima metà di giugno, sul versante aperto ad anfiteatro dell’alta Valle di Muggio tra Piancone e Alpe di Sella, da 1200 a 1300 m s. m. Similmente destano meraviglia molti altri fiori del Monte, tra i quali in massa i primaverili Crocus albiflorus, Narcissus x verbanensis, Soldanella alpina e, a cespi isolati, in fessure della roccia Primula auricula; le apiacee estive Molopospermum peloponnesiacum, Ligusticum lucidum, Cnidium silaifolium, Peucedanum rablense, Laserpitium gaudinii e altre specie quali Silene flos-jovis, Dianthus monspessulanus, Paradisea liliastrum, Festuca paniculata, F. quadriflora. Esse, con le loro affascinanti fioriture, suscitano in chi le osservi con occhio attento e con animo aperto e sensibile, dapprima intense e gradevoli reazioni emotive e poi ammirate riflessioni che sgorgano da una innata sensibilità estetica. Non meno affascinanti, appaiono simili fioriture, oltre i 1100 m s. m., anche alla Pianca dell’Alpe, a Pianche e a Tiralocchio. Da sempre oggetto di particolare ammirazione le Orchidacee, con 25 specie. La più frequente è Orchis maculata; frequente, Cephalanthera longifolia; quasi frequente Platanthera bifolia; diffusa, Neottia nidus-avis. Inoltre sono presenti diverse altre orchidacee relativamente rare. Altre sette sono citate in pubblicazioni floristiche, ma successivamente la loro presenza non è stata confermata. Infine, due rarità: Oxytropis neglecta, in Svizzera solo sul Monte, e Festuca ticinensis, nelle Alpi solo sui calcari e le dolomie del Sottoceneri e dei territori italiani finitimi.

 

Tratto da: Pier Luigi Zanon, “Cenni su flora e vegetazione”, in La scoperta del Monte Generoso, a cura di Paolo Crivelli e Silvia Ghirlanda, MEVM ; Dadò, 2011, pp. 59-71.

 

Prati fioriti: sorgente di vita

 

Chi ha avuto la fortuna di percorrere i sentieri pedestri della Valle di Muggio si sarà accorto che le superfici prative presenti possiedono in genere una notevole ricchezza di fiori, farfalle, coleotteri, cavallette, formiche, molluschi. Più un paesaggio è diversificato e presenta un mosaico di differenti tipi di ambienti, più numerose saranno le specie che riusciranno a trovarvi le condizioni ideali per vivere. Il paesaggio agroforestale della Valle di Muggio presenta prati e pascoli fioriti che sono molto importanti per la biodiversità.

Poesia danzante tra i fiori

Tra gli insetti che hanno affascinato maggiormente l’uomo figurano certamente le farfalle diurne. La leggiadria del loro volo e i colori spesso sgargianti delle loro ali non possono non suscitare emozioni in coloro che si prendono il tempo per osservare e apprezzare la semplicità della natura. Se una specie di farfalla è presente in un dato prato, è perché in quell’ambiente riesce a soddisfare le esigenze imposte da ciascuno stadio del suo sviluppo: uovo, bruco, crisalide e adulto. Ogni specie ha necessità che le sono proprie per esempio per quanto riguarda la pianta nutrice del bruco oppure i fiori su cui cercare il nettare. Sulla base delle informazioni contenute nella banca dati del Centro svizzero di cartografia della fauna in Valle di Muggio sono fino ad ora state documentate circa 110 specie di farfalle diurne. Si tratta di un numero molto elevato – pari a circa il 50% delle specie del Cantone Ticino – che denota il grande valore degli ambienti naturali e agroforestali presenti. Le farfalle diurne sono infatti ottime bioindicatrici perché mostrano una marcata sensibilità alle modifiche degli ambienti in cui vivono. Per questa ragione sovente vengono utilizzate per valutare lo stato di naturalità di un ambiente o l’impatto di determinate modalità gestionali.

Gli orchestrali dei prati fioriti

I melodiosi e ripetitivi suoni che gli orchestrali dei prati fioriti ci regalano nelle calde giornate e serate estive sono un’ulteriore testimonianza del valore che le zone prative hanno per la biodiversità. I canti degli ortotteri (grilli, locuste e cavallette) sono atti di seduzione e di corteggiamenti amorosi dei maschi verso le femmine. Un gran fermento celato tra gli steli d’erba. Questo gruppo faunistico predilige in genere le zone calde e soleggiate e per questa ragione la parte meridionale del Canton Ticino è una delle regioni della Svizzera che ospita la maggior diversità di ortotteri della Svizzera. La Valle di Muggio non fa eccezione e la diversità documentata è particolarmente elevata grazie in particolare alla presenza di prati estensivi termofili che rappresentano un habitat prediletto per diverse specie di ortotteri. Nella banca dati del Centro svizzero di cartografia della fauna figurano ben 64 specie censite in zona. Questo corrisponde al 60% delle specie censite in Svizzera e dell’80% di quelle ticinesi pur rappresentando unicamente l’1.5% della superficie cantonale!

I prati fioriti: isole nel bosco

Il lavoro degli agricoltori nella gestione di ambienti agricoli di qualità è certamente finalizzato alla produzione di alimenti, ma ha anche importanti influssi sul paesaggio, sulle attività di svago, sulla qualità di vita e sulla biodiversità. Le varie forme di vita che in centinaia di anni si sono adattate alle pratiche agricole estensive di un tempo, si trovano però oggigiorno sotto pressione. In questi ultimi decenni il contesto storico, sociale e culturale si è modificato rapidamente e anche in Valle di Muggio le attività agricole si sono fortemente ridotte. Da una parte ciò ha determinato un progressivo abbandono della gestione dei pendii più discosti e meno produttivi e dall’altra un’intensificazione delle pratiche agricole sui terreni più pianeggianti. I prati fioriti si sono così ridotti sia sui versanti sia sulle pianure. Per la Valle di Muggio sono l’estensione delle zone edificate soprattutto sui versanti solivi di bassa quota, l’intensificazione delle pratiche agricole nei vigneti e il rimboschimento le minacce principali che gravano sulla biodiversità e sui paesaggi delle zone aperte. Le superfici prative sono ormai piccole ma sono preziose isole nel mare verde delle fronde boschive.

 

Tratto da: Mirko Zanini, “Prati fioriti: sorgente di vita”, in Valle di Muggio allo specchio. Paesaggio incantevole, paesaggio mutevole, a cura di Paolo e Silvia Crivelli, MEVM ; Fondazione Ticino Nostro, 2017, pp. 74-81.

 

Zone umide: perle rare

 

Le zone umide sono da sempre tra gli ambienti più rari della Valle di Muggio. Infatti in questa regione carsica buona parte dell’acqua meteorica s’infiltra rapidamente nel sottosuolo. Attorno ai pochi punti d’acqua presenti in superficie, soprattutto se d’acqua stagnante o con poco scorrimento, si concentra però una grandissima ricchezza di specie animali, attirata proprio da questa preziosa risorsa, analogamente a quanto capita attorno alle oasi nei deserti.

Le bolle

Alle quote più elevate i principali punti d’acqua sono costituiti dalle bolle, piccole pozze artificiali abilmente costruite dagli alpigiani per abbeverare il bestiame. Esse raccolgono l’acqua piovana proveniente dal pendio e trattenuta grazie al lavoro di impermeabilizzazione del fondo della conca. Attualmente in Valle di Muggio si contano una trentina di bolle, ognuna con le sue particolarità faunistiche. Le bolle che si susseguono lungo la strada sterrata che dal Dosso dell’Ora conduce al Dosso Bello, per esempio, richiamano in primavera una miriade di anfibi per la riproduzione. A fine marzo, non appena a i tiepidi raggi di sole primaverile sciolgono lo strato di ghiaccio che le ha ricoperte durante l’inverno, arrivano le Rane temporarie (Rana temporaria) e le Salamandre pezzate (Salamandra salamandra). Seguono poi il Rospo comune (Bufo bufo), il Tritone crestato meridionale (Triturus carnifex) e in maggio-giugno la Raganella italica (Hyla intermedia) che qui forma una delle popolazioni a maggior quota nelle Alpi.

Un altro gruppo di specie che in Valle di Muggio ha trovato ambienti favorevoli grazie alle bolle costruite in passato, è quello delle libellule. Come gli anfibi, anche le libellule per la riproduzione sono strettamente legate all’acqua. Questi insetti trascorrono la maggior parte della loro vita in uno stadio larvale acquatico, la cui durata, a dipendenza della specie, varia da pochi mesi fino a 5 anni. Con la metamorfosi si trasformano poi in insetti adulti alati, sovente dotati di un volo possente che consente loro di colonizzare anche ambienti discosti e isolati. Una dimostrazione la ottiene chi raggiunge la bolla situata all’Alpe d’Orimento. Durante le calde giornate estive l’aria sopra lo specchio d’acqua è tutta un turbinio e un fruscio di ali di libellule che, con mille acrobazie aeree, cacciano, si inseguono e lottano per la conquista di un territorio. Con i loro brillanti colori, il rapido volo (possono raggiungere i 54 km/h), la capacità di arrestarsi immobili a mezz’aria, di muoversi verticalmente e addirittura di volare all’indietro, hanno da sempre affascinato l’uomo. Una delle specie più comuni presso la bolla d’Orimento è la Libellula depressa, che non ha problemi d’umore ma deve il suo nome all’addome schiacciato ventralmente. Si tratta di una libellula detta pioniera perché colonizza di preferenza specchi d’acqua giovani e poveri di vegetazione. Effettivamente la bolla d’Orimento, benché sia secolare, grazie al regolare calpestio degli animali al pascolo che ancora oggi la usano come abbeveratoio, conserva tutte le caratteristiche di un ambiente pioniere.

Ad abbeverarsi alle bolle giunge regolarmente pure una folta schiera di abitanti notturni che solitamente passa completamente inosservata: i pipistrelli. Per questi mammiferi alati le bolle rappresentano l’unica fonte d’acqua della zona, visto che il fiume Breggia per loro è poco accessibile a causa delle sue caratteristiche torrentizie. Nelle prime ore della notte le bolle vengono quindi visitate in massa da tutti i pipistrelli che trovano rifugio o cacciano in Valle di Muggio. Tra la decina di specie già osservate sulle bolle tra il Dosso dell’Ora e il Dosso Bello spiccano il Vespertilio maggiore (Myotis myotis) e il Vespertilio minore (Myotis blythi) che sono due dei pipistrelli più rari del nostro Cantone.

Le acque correnti della Breggia

Anche il torrente Breggia, pur avendo due sorgenti principali, dimostra in modo esemplare quanto sia rara e sfuggente l’acqua nella regione. Il primo tratto di 4 km tra il Barco dei Montoni, ritenuto il luogo in cui nasce la Breggia, e la sorgente Dossi a Est di Scudellate rimane in secca per la maggior parte dell’anno. La sua portata acquista consistenza alla confluenza con le acque provenienti dalla sorgente situata in Val della Crotta. È proprio qui che si trovano gli ambienti più umidi. Si tratta in effetti di una stretta valle orientata Est-Ovest ricoperta nella sua parte più bassa da un fitto bosco di forra con Ontano bianco, un ambiente ideale ad esempio per la Salamandra pezzata. Dopo una giornata di pioggia se ne possiamo incontrare numerosi individui. Un altro gruppo di specie favorito dal clima umido della Val della Crotta sono i piccoli mammiferi, come per esempio l’Arvicola rossastra (Myodes glareolus), il Toporagno del Vallese (Sorex antinorii) e il Topo selvatico (Apodemus sylvaticus).

Stagni e pozze del Parco delle Gole della Breggia

La più grande concentrazione di biotopi umidi della Valle la troviamo all’interno del Parco delle Gole della Breggia dove, accanto a stagni di diverse dimensioni, vi sono pozze alimentate da risorgive e acque di scorrimento da pendio, alcune pozze temporanee di acqua piovana e due rogge molinare ripristinate negli ultimi anni. Parte di questi ambienti sono naturali, mentre altri sono di origine antropica e ricreano tipologie ambientali molto comuni all’interno delle zone golenali dei nostri fiumi prima che venissero in gran parte privati della loro dinamica naturale a seguito di arginature e captazioni varie. Grazie alla loro diversità e agli ambienti terresti circostanti molto favorevoli (boschi, cespuglieti e zone aperte ricche di strutture), questi biotopi ospitano ben 5 specie diverse di anfibi e sono iscritti nell’Inventario dei siti di riproduzione di anfibi di importanza cantonale. Nelle prime tiepide serate primaverili nel Parco delle Gole della Breggia è possibile incontrare il Rospo comune e due specie di Rane rosse. Infatti, accanto alla più comune Rana temporaria, il Parco ospita pure una buona popolazione della più rara e minacciata Rana agile (Rana dalmatina).
Se gli anfibi prediligono le acque stagnanti, il Parco annovera però pure alcune specie d’eccezione legate alle acque correnti. Si tratta per esempio di due tra gli insetti indigeni più belli e appariscenti, Calopteryx splendes caprai e Calopteryx virgo virgo che con la loro presenza ornano le rive della roggia del Mulino del Ghitello.

 

Tratto da: Marzia Mattei-Roesli e Tiziano Maddalena, “Zone umide: perle rare”, in Valle di Muggio allo specchio. Paesaggio incantevole, paesaggio mutevole, a cura di Paolo e Silvia Crivelli, MEVM ; Fondazione Ticino Nostro, 2017, pp. 81-87.

 

 

Un territorio in evoluzione: il ritorno degli ungulati

 

La Valle di Muggio è un territorio montagnoso ricco di boschi frammisti a prati e pascoli: un luogo ideale per gli ungulati. Nell’area compresa tra il Monte Generoso e il Monte Bisbino essi trovano estesi ambienti idonei e ben connessi tra loro, come pure una vasta superficie attorno al Monte Generoso dove la protezione è totale (Bandita di caccia alta). Grazie a queste particolarità, in Valle di Muggio sono attualmente presenti quattro specie di ungulati: il camoscio, il cervo, il cinghiale e il capriolo. Non è però sempre stato così. Infatti, ad eccezione del camoscio, le altre tre specie sono scomparse dalla Valle di Muggio, e da buona parte del Cantone Ticino, nel corso del XIX secolo. Solo a partire dalla seconda metà del 1900 hanno iniziato a farvi ritorno. Questa ricolonizzazione è avvenuta per lo più in seguito alla naturale espansione delle popolazioni, favorita principalmente da una pressione venatoria minore e dall’indebolimento delle attività agroforestali sui versanti. Con la diminuzione dei capi allevati e con l’abbandono dello sfalcio dei pendii più discosti, il bosco, habitat prediletto da caprioli, cervi e cinghiali, ha ripreso progressivamente a svilupparsi. Ampie zone boschive non più usate dall’uomo sono diventate aree di rifugio, di tranquillità e di alimentazione per questi ungulati. Le informazioni relative a questa ricolonizzazione sono soprattutto fornite dalle statistiche di caccia o dai censimenti dei guardiacaccia. Risalendo ad epoche più remote, si possono evidenziare altri importanti cambiamenti relativi agli ungulati presenti nella zona. Grazie a ricerche svolte da speleogi della Società svizzera di Speleologia (Sezione Ticino) è stato ad esempio possibile rinvenire a Castel San Pietro, in una grotta del Monte Generoso, ossa di stambecco (Capra ibex) vissuto su questo massiccio carsico circa 18’000 anni a.C. dunque, poco dopo l’ultimo massimo glaciale. Ciò evidenzia come le componenti naturali sono in continua evoluzione.

Il cervo (Cervus elaphus) è probabilmente il primo ungulato ad essere riapparso sul territorio della Valle di Muggio. Grazie alla grande mobilità, ad un comportamento migratorio stagionale molto sviluppato e alla sua grande adattabilità, partendo dai Cantoni Grigioni e Uri, ha saputo in pochi anni rioccupare in maniera omogenea tutto il territorio cantonale.

La ricomparsa del cinghiale (Sus scrofa) nel Cantone Ticino data degli anni 1970-80. Le prime presenze stabili di questo ungulato sono attestate nel Malcantone: nel 1981 sono state fatte le prime osservazioni e dal 1985 è considerato stanziale. Questo ritorno è da collegare principalmente a immissioni illecite di animali provenienti da allevamenti e da rilasci effettuati nella vicina Italia.

Il capriolo (Capreolus capreolus) si è riappropriato in modo naturale del nostro Cantone nel corso del XIX secolo, grazie soprattutto ad animali provenienti da Nord. Nel XX secolo in quasi tutte le principali valli ticinesi a questa immigrazione naturale si sono aggiunte delle immissioni a scopo venatorio.

L’attuale popolazione di camosci (Rupicapra rupicapra) del Monte Generoso, alla quale appartengono pure gli esemplari della Valle di Muggio, risale agli anni 1964-65 quando l’associazione Pro Fauna Generoso e dintorni di Capolago libera sopra Rovio due femmine e tre maschi. Si suppone comunque che in passato in questa regione esistesse già una popolazione di camosci autoctona.

Una convivenza impegnativa

Negli ultimi decenni il territorio ticinese ha conosciuto due tipi di sviluppo in forte contrasto fra di loro: da una parte – soprattutto nelle zone di pianura e nelle vicinanze delle principali arterie stradali – una cementificazione e un’intensificazione della gestione delle zone agricole, mentre dall’altra parte – e l’alta Valle di Muggio ne è un buon esempio – l’avanzata naturale del bosco a detrimento di prati, terrazzamenti e selve castanili. Tale evoluzione del paesaggio ha causato un mutamento della biodiversità locale: molte specie legate alle zone aperte, strutturate e gestite estensivamente sono diminuite o addirittura scomparse, mentre quelle maggiormente legate al bosco o più adattabili hanno saputo trarne vantaggio. Cervi, caprioli e cinghiali figurano tra questi ultimi. Il ritorno degli ungulati è un processo strettamente legato a questa evoluzione paesaggistica ed è sinonimo di un equilibrio naturale che sta cercando di ristabilirsi, portando con sé vantaggi e inconvenienti. Gli ungulati, dopo essere stati totalmente sterminati nei secoli scorsi, da una cinquantina di anni a questa parte, stanno massicciamente ritornando nei boschi ticinesi. È difficile non essersi accorti di questa ricolonizzazione. Gli ungulati hanno infatti bisogno del bosco per rifugiarsi, spostarsi e alimentarsi; ma non disdegnano neppure la possibilità di raggiungere i fondovalle dove si nutrono in prati, vigneti e frutteti. Entrano così in conflitto con agricoltori e viticoltori e, quando i loro corridoi di spostamento si intersecano con le nostre vie di comunicazione, rimangono pure spesso vittime di pericolose collisioni stradali.
I problemi causati dagli ungulati nelle zone aperte sono relativamente ben conosciuti e dibattuti, mentre gli effetti della loro presenza nel bosco sono meno appariscenti. Cervi, caprioli ma anche camosci, soprattutto durante l’inverno, si cibano volentieri delle gemme e della corteccia dei giovani alberi indebolendoli e compromettendo il ringiovanimento naturale del bosco. Se le popolazioni raggiungono densità importanti e non possono spostarsi liberamente sul territorio, ma sono confinate in determinate aree, è possibile che questi danni possano compromettere in particolare la funzione protettiva del bosco ed esporre vite umane o beni materiali ad eventi naturali pericolosi quali frane, valanghe e fenomeni erosivi. Secondo i dati raccolti dai servizi forestali il territorio della Valle di Muggio al momento non risente di tale problema in quanto i danni da brucamento sono contenuti e non mettono quindi a rischio la funzione protettiva e da reddito del bosco. La convivenza dell’uomo con la natura è purtroppo sempre più difficile, a volte sembra esserci una rottura netta, ormai insanabile. Da una parte la società moderna che ricerca una natura accomodante, addomesticata, idealizzata, e dall’altra le esigenze biologiche delle varie specie faunistiche, a volte in conflitto con le attività dell’uomo. Un miglioramento della convivenza deve certamente passare da una maggiore conoscenza delle dinamiche naturali che sono in corso, dal riconoscimento delle conseguenze delle scelte che operiamo sull’ambiente che ci circonda e dalla consapevolezza che il mantenimento della biodiversità è alla base anche della nostra qualità di vita. Il ritorno degli ungulati ci impone quindi una riflessione in merito alla nostra relazione con la natura. È necessario stimolare la ricerca di soluzioni atte a favorire la convivenza, senza dover ritornare a pensare allo sterminio di cervi e cinghiali come unica via percorribile. Nel frattempo, mentre gli uomini discutono e dibattono sul tema, gli animali selvatici fanno del loro meglio per perpetuare la specie.

 

Tratto da: Damiano Torriani e Federico Tettamanti, “Un territorio in evoluzione: il ritorno degli ungulati”, in Valle di Muggio allo specchio. Paesaggio incantevole, paesaggio mutevole, a cura di Paolo e Silvia Crivelli, MEVM ; Fondazione Ticino Nostro, 2017, pp. 87-93.

 

L’avifauna

 

Aggiornato al 30 giugno 2010, l’elenco degli uccelli del Generoso conta 136 specie (323 in Ticino), cinque in più rispetto al precedente elenco pubblicato. Il complesso del Monte Generoso, che come detto è stato inserito nell’elenco IBA, è una delle quattro zone ticinesi (MG, Bolle di Magadino, Valle Maggia, Piora – Dötra) e delle 31 in Svizzera e 4400 in Europa.

Le zone rupestri

Si estendono nella regione della vetta sul versante ovest della montagna fra i 1200 ed i 1700 m e fra i 500 ed i 1000 m fra Mendrisio e Maroggia. Sono spesso pareti ricche di torri, canaloni, fessure, anfratti e nicchie, con rami sporgenti, balze erbose che determinano microclimi variati e la presenza di una fauna invertebrata ricca. In questi habitat nidificano il Corvo imperiale, il Nibbio bruno, la Poiana, il Gheppio, il Gufo reale, il Rondone maggiore, la Rondine montana, il Sordone, il Codirosso spazzacamino, il Codirossone, il Picchio muraiolo.

Le praterie montane

Si estendono sul Generoso fra i 1000 m e la vetta. Nella porzione inferiore della montagna sono diffuse le praterie grasse falciate e concimate, al di sopra compaiono invece estensioni a Fienarola delle Alpi Poa alpina nelle parti con suoli profondi mentre nelle zone degli affioramenti rocciosi e degli spietramenti sono diffusi soprattutto i Seslerieti ed i Nardeti. In questi ambienti aperti mantenuti dall’attività di pascolamento ed oggi in parziale degrado sono presenti alcuni antichi alpeggi, muri e torri di spietramento dei pascoli, come pure ampi canaloni. In questo habitat nidificano la Coturnice, la Quaglia, l’Allodola, il Prispolone, lo Spioncello, la Ballerina gialla, la Ballerina bianca, il Codirosso spazzacamino, il Culbianco, il Codirossone, lo Stiaccino, lo Zigolo giallo.

I cespuglieti montani

Nelle fasce ecotonali fra le praterie alpine ed il bosco, specie dove la pastorizia non è più praticata da qualche anno la vegetazione naturale sta prendendo di nuovo il sopravvento. Si sviluppano così unità ad erbe alte a Felce aquilina Pteridium aquilinum, a Ginestra dei carbonai Cytisus scoparius, e, nelle parti più fresche, ad Ontano verde Alnus viridis e salici. Queste formazioni sono intercalate talvolta da unità arboree e da praterie ancora utilizzate, ciò che determina un mosaico assai interessante per l’avifauna. In questo habitat nidificano il Torcicollo, il Prispolone, lo Scricciolo, la Passera scopaiola, lo Stiaccino, il Merlo, la Sterpazzola, il Beccafico, la Capinera, il Luì bianco, il Luì piccolo, il Codibugnolo, l’Averla piccola, il Fanello, lo Zigolo muciatto.

Le piantagioni di conifere

Questo habitat non è tipico del Monte Generoso. Tutte le unità presenti sono di origine antropica e risalgono all’ultimo secolo. Sulla vetta è presente una superficie ad abete rosso di pochi ettari e vistosamente in deperimento. Sempre sulla parte sommitale, soprattutto sul versante italiano, esistono superfici di maggior estensione e di recente impianto. La presenza di queste formazioni contribuisce ad aumentare la diversità faunistica del monte, ospitando specie tipiche dell’orizzonte montano della regione alpina. Nidificano lo Sparviere, il Gufo comune, lo Scricciolo, la Passera scopaiola, il Merlo, il Tordo bottaccio, il Beccafico, la Capinera, il Luì bianco, il Luì piccolo, il Regolo, il Fiorrancino, il Codibugnolo, la Cincia bigia alpestre, la Cincia mora, la Cinciallegra, la Ghiandaia, la Cornacchia grigia, il Fringuello, il Cardellino, il Fanello, il Ciuffolotto. Hanno nidificato in passato anche il Crociere e l’Organetto.

La faggeta

Fra gli 800-900 m ed i 1200-1400 m l’elemento dominante è il faggio. Questo è presente in varie associazioni a seconda della ricchezza e dell’umidità dei suoli e anche del tipo di sfruttamento cui è sottoposto. In questo habitat nidificano l’Astore, il Falco pecchiaiolo, la Poiana, il Cuculo, l’Allocco, il Picchio rosso maggiore, lo Scricciolo, il Pettirosso, il Merlo, la Capinera, il Luì bianco, il Luì piccolo, il Pigliamosche, la Cinciallegra, il Picchio muratore, il Rampichino, la Ghiandaia, la Cornacchia grigia, il Fringuello.

Il bosco di latifoglie

Al di sotto del limite della faggeta e fino alle altitudini inferiori è presente una serie differenziata di associazioni forestali. Nella parte superiore sono dominanti il castagno Castanea sativa, gli aceri Acer campestris, Acer montanus ed il carpino bianco Carpinus betulus; al di sotto degli 800 m, specialmente nelle zone esposte ed al piede della montagna e sul versante sud-occidentale sono dominanti la roverella Quercus pubescens, il carpino, l’orniello Fraxinus ornus ed anche il bagolaro Celtis australis. In questo habitat nidificano il Falco pecchiaiolo, il Nibbio bruno, la Poiana, il Colombaccio, la Tortora, il Cuculo, l’Allocco, il Succiacapre, il Picchio verde, il Picchio rosso maggiore, lo Scricciolo, il Pettirosso, il Merlo, il Tordo bottaccio, la Capinera, il Luì verde, il Luì piccolo, il Pigliamosche, il Codirosso, il Codibugnolo, la Cincia bigia, la Cinciarella, la Cinciallegra, il Picchio muratore, il Rampichino, la Ghiandaia, la Cornacchia grigia, lo Storno, la Passera mattugia, il Fringuello, il Ciuffolotto. Ha nidificato l’Usignolo.

La fascia agricola pedemontana, i vigneti e le località

Nella fascia pedemontana, dove si sono sviluppati gli insediamenti nei dintorni di Somazzo, Salorino e Rovio si mantengono alcune zone agricole tradizionali. Sui terrazzi è ancora coltivata la vite in modo semitradizionale, cioè alternata a colture orticole, alberi da frutta, appezzamenti a prati grassi e secchi. L’esposizione a sud determina un microclima termofilo, favorevole all’insediamento di specie mediterranee. Nelle zone agricole e nei vigneti tradizionali nidificano il Torcicollo, il Rondone, il Merlo, la Capinera, il Pigliamosche, la Cinciallegra, l’Averla piccola, la Passera mattugia, il Fringuello, il Verzellino, il Verdone, il Cardellino, lo Zigolo nero. Nelle zone edificate nidificano la Rondine, il Balestruccio, il Codirosso, la Cinciallegra, lo Storno, la Passera d’Italia.

 

Tratto da: Roberto Lardelli, “L’avifauna del Monte Generoso“, in La scoperta del Monte Generoso, a cura di Paolo Crivelli e Silvia Ghirlanda, MEVM ; Dadò, 2011, pp. 95-107