Chiese

Arte e architettura - altri approfondimenti
Per saperne di più

Finestre_sull_arte_MEVM.jpg

Finestre sull'arte tra Valle di Muggio e Val Mara.
Dall'epoca romana ad oggi

a cura di Ivano Proserpi (MEVM)
MEVM, Ticino Nostro, Salvioni edizioni, 2022

Acquista

Gli oratori di San Vigilio e di Sant’Agata al Monte

 

Gli oratori di San Vigilio e di Sant’Agata al Monte attestano della vitalità che contraddistingueva la vita del borgo di Rovio e della regione circostante nel Medioevo ma anche in tempi ben più antichi, come dimostrano i numerosi reperti archeologici databili all’Età del Bronzo e a quella romana riportati alla luce in più occasioni. Se la datazione della cappella di Sant’Agata resta incerta, anche in ragione delle diverse manomissioni subite nel corso dei secoli, alcune ancora in tempi piuttosto recenti, la cronologia del San Vigilio sembra ormai fissata alla prima metà dell’XI secolo. Non è escluso, tuttavia, che l’attuale struttura rimpiazzasse una costruzione più antica, come suggerirebbe la dedicazione a Vigilio (355–400/405), vescovo di Trento e figura di primo piano nella diffusione del cristianesimo all’indomani degli Editti di Milano e di Tessalonica. Entrambe le strutture, poste in altura, dominano il panorama circostante. Il San Vigilio si erge sulla collina a ovest del villaggio, mentre l’oratorio di Sant’Agata, sul monte omonimo a 940m di altitudine, sovrasta parte del Mendrisiotto e del Ceresio. In epoca altomedievale, d’altronde — quando Rovio faceva parte del territorio del Seprio — nei pressi della cappelletta di Sant’Agata sorgeva una struttura fortificata, forse una torre di vedetta, da cui era possibile scorgere gli altri osservatori militari in territorio sepriense. All’interno, l’aula unica, a capanna e coperta da un soffitto a capriate, si presenta oggi con tutte le pareti intonacate: la zona absidale è valorizzata da ornamenti aniconici di epoca recente.

[...] La chiesetta di San Vigilio, anche questa ad aula unica e chiusa a sud-est da un’abside semicircolare, si distingue invece per il gioco di spessori delle superfici murarie esterne. Sia quelle del corpo principale, sia quelle del cilindro absidale sono caratterizzate da lesene ad archetti binati e trinati. La facciata, al contrario, presenta tre specchiature risultanti da archetti trinati rampanti. Tali elementi servono a stabilizzare l’edificio, alleggerendo il paramento murario attraverso elementi dal forte impatto decorativo. Il presbiterio, leggermente rialzato, immette nell’abside interamente dipinta e occupata da una Maiestas Domini. Al centro della conca sta Cristo in una mandorla formata da un nastro a soffietto: siede su un trono senza dossale, veste una tunica color rosa antico coperta da un manto porpora. [...] I simboli degli Evangelisti circondano Cristo, spuntando dalla mandorla: a sinistra l’Angelo di Matteo e il Toro di Luca—solo parzialmente visibili, a destra l’Aquila di Giovanni e il Leone di Marco, martoriati da lacune. Tutti tengono il codex del proprio Vangelo. Dal punto di vista formale, le pitture murali di Rovio trovano i loro confronti migliori con le Maiestas Domini nell’abside della chiesa abbaziale di San Nicola a Piona, datata ai primi decenni del XIII secolo e nell’oratorio di Sant’Ambrogio a Camignolo, così come con i lacerti con il San Cristoforo nella navata del San Nicolao a Giornico. A Rovio, Piona, Camignolo e Giornico ritroviamo lo stesso linguaggio stilistico ruvido e schietto che crea figure pesantemente contornate e senza spessore.

Tratto da: Irene Quadri, "Il Romanico ai piedi del Monte Generoso. Rovio, chiese di San Vigilio e di Sant’Agata", in Finestre sull'arte tra Valle di Muggio e Val Mara. Dall'epoca romana a oggi, MEVM / Fondazione Ticino Nostro / Salvioni, 2022, pp. 79-83.

 

Il Settecento abbraccia il Seicento. Chiesa parrocchiale di S. Eusebio, Castel S. Pietro

 

L’edificio attuale è il risultato di varie trasformazioni - complete o parziali - avvenute nel corso di oltre sette secoli in una sovrapposizione e stratificazione a noi purtroppo finora in gran parte sconosciuta data l’assenza di indagini archeologiche. Ad una prima costruzione menzionata nel 1270 ne seguì un’altra tra il 1582 e il 1599 con una riedificazione totale di una chiesa a pianta basilicale i cui lavori di arredo e di decorazione durarono fino al secondo decennio del XVII secolo.

Dopo pochi anni, nel 1677, la comunità di Castel San Pietro decise di rinnovare l’edificio chiedendo un progetto all’architetto e stuccatore Agostino Silva di Morbio Inferiore. I lavori durarono parecchio tempo e inglobarono verosimilmente parte della costruzione precedente. Alle due attuali cappelle della Madonna e del Crocefisso, innalzate e decorate negli ultimi due decenni del Seicento, seguiranno quella delle Anime Purganti (terminata intorno al 1748) e quella di Sant’Antonio (decorata negli anni Cinquanta del XVIII secolo). Solamente dopo il 1756 fu rinnovato il vecchio coro, su disegno dell’architetto e stuccatore locale Francesco Pozzi, con il completamento dell’arredo marmoreo, a stucco e pittorico, e con l’innalzamento della nuova facciata pure disegnata dallo stesso.

La cappella del Santo Crocefisso
La cappella del Crocefisso si contraddistingue per la presenza di un notevole insieme plastico in stucco che occupa buona parte della parete di fondo e della relativa nicchia proponendo delle figure umane a grandezza naturale che si raggruppano attorno alla statua lignea del Cristo crocefisso, quest’ultima portata da Como nel 1689 e divenuta oggetto di particolare devozione popolare. Ai piedi della croce le tre pie donne sorreggono e consolano la Vergine dolorante mentre un’altra figura femminile accasciata assiste allo svenimento della madre di Gesù. Accanto a loro san Giovanni con le mani giunte in preghiera rivolge un ultimo sguardo pietoso al Cristo crocefisso. Posti a mo’ di cornice lungo l’arco della nicchia due angeli oranti, alcuni puttini e delle testine alate affogate in morbide nuvole, assistono al dramma, mentre le due statue di san Fermo e san Defendente delimitano l’insieme. La suggestiva impostazione dell’episodio, l’accentuazione del suo carattere drammatico, ben espressa attraverso le fisionomie, le posture e i panneggi dei personaggi, come pure la cura dei dettagli materici, gli effetti chiaroscurali e plastici, e le scelte iconografiche, rientrano pienamente nei concetti dell’arte barocca rispondendo nel contempo alle esigenze della coeva Chiesa controriformata. Le figure del gruppo in stucco, come poste sul palcoscenico di un teatro, sembrano recitare il loro copione esprimendo tutto il pathos che richiama le rappresentazioni plastiche inserite nelle cappelle dei Sacri Monti lombardi e piemontesi. Numerosi sono i rimandi a noti modelli pittorici, in particolare alla scuola bolognese secentesca e alle composizioni sacre di Guido Reni. Autore di tale insieme è Giovanni Battista Barberini (1625 ca. - 1691/92), originario di Laino, in Valle d’Intelvi, il cui percorso artistico e professionale, caratterizzato da un numeroso corpus di opere, si estende in varie regioni italiane e nordalpine: dalla Lombardia all’Emilia, da Genova al Veneto, dal canton Ticino all’Austria. Detentore di un’importante bottega in collaborazione con altri plasticatori suoi conterranei, il Barberini risulta essere uno dei maggiori scultori e stuccatori del secondo barocco lombardo.

Il coro
Oltre la cappella menzionata è nel coro che troviamo dei veri e propri tesori artistici del periodo rococò; uno spazio in cui architettura, stucchi e pittura si uniscono in un insieme di grande equilibrio e armonia. Nella bella volumetria del coro in emiciclo, sulla volta e sulle pareti si possono ammirare degli affreschi e delle tele realizzati dal pittore di origine intelvese Carlo Innocenzo Carloni (1686/87-1775), uno dei maggiori protagonisti del Rococò internazionale, attivo oltre che nei territori prealpini del Canton Ticino e della Lombardia, in Germania, Austria, Repubblica Ceca e Polonia. Il ciclo presente nella chiesa castellana costituisce l’opera più importante lasciata dal Carloni nel Canton Ticino. L’iconografia delle pitture riguarda episodi della vita del santo patrono dell’edificio, ossia sant’Eusebio, come pure l’Ascensione di Gesù e gli Angeli in adorazione del SS. Sacramento. Gli affreschi sono caratterizzati da diverse figure composte con un’estrema libertà che conferisce loro un grande dinamismo, mentre la gamma cromatica vivace e luminosa esprime la piena maturità dell’artista, abituato a decorare ampi spazi voltati in chiese e residenze nobiliari. Nelle due tele delle pareti laterali il linguaggio del Carloni risente delle influenze della pittura veneta della metà del Settecento, allorquando l’artista intelvese intensifica la sua attività nelle province venete della Lombardia (Bergamo e Brescia).

Gli affreschi e le tele sono incorniciati e completati con leggiadri e ariosi stucchi realizzati tra il 1756 ed il 1759 dallo stuccatore locale Francesco Pozzi (1704-1789). Plasmati seguendo una linea ondulata che prende lo spunto dall’aspetto grafico delle due lettere dell’alfabeto c e s, gli stucchi presentano una leggera doratura che fa risaltare l’andamento curvilineo. Un cordone corre libero lungo la muratura unendo i diversi elementi decorativi - dipinti e stucchi - in una fusione delle arti di tipo illusionistico e nella continuità del gusto tardobarocco. Lo stuccatore, già attivo nel nord della Svizzera e nella Germania meridionale, si esprime pienamente nel linguaggio rocaille diffuso nei decenni centrali del Settecento, adottando nei suoi lavori la linea curva nelle sue svariate possibilità, una linea che alcuni storici dell’arte hanno definito con l’espressione linea della bellezza, per l’estrema eleganza formale, la raffinatezza e l’armonia che contraddistinguono generalmente molte creazioni contemporanee, dall’architettura fino alle arti applicate.

Ivano Proserpi
(storico dell’arte, Museo etnografico della Valle di Muggio)

 

Campora, l’oratorio di San Fermo

 

Fra i diversi interventi attestati o attribuiti [all'architetto Luigi Fontana (Muggio, 1812 - Mendrisio, 1877) nell' ambito dell'architettura religiosa], il più importante è l’oratorio di San Fermo, edificato a monte del nucleo di Campora (un tempo frazione di Caneggio, ora di Castel San Pietro) lungo la strada che risale il versante occidentale della valle. Fontana inizia a occuparsi dell’oratorio sul finire dell’inverno 1843, quando, il 16 marzo, delinea il rilievo del fabbricato esistente, attestato già nel 1632 e costituito dall’aula destinata all’assemblea dei fedeli, di pianta pressoché quadrata e con un tetto a due spioventi, e dal presbiterio, più piccolo e coperto da una volta. Sul lato sinistro si trovavano la sacrestia e l’andito che immetteva al campanile, sul lato opposto l’ossario, leggermente arretrato rispetto al filo del prospetto principale. Sul medesimo foglio l’architetto scrive che «la nuova chiesina sarà tale da capirvi almeno 200 persone» e annota di aver consegnato le tre tavole raffiguranti il suo progetto il 17 maggio 1843, mentre al verso attesta di avere ricevuto due acconti a compenso del proprio lavoro il 20 ottobre e il 24 dicembre 1845.

È dunque a quegli anni che va fatto risalire il progetto di Fontana, che propone un nuovo organismo impostato su uno spazio centrale coperto da una volta a vela contenuta fra quattro arconi. Il presbiterio è concluso da un’abside con nicchia centrale (destinata ad accogliere la statua lignea di san Fermo) e calotta emisferica, mentre verso l’ingresso lo spazio centrale è prolungato da un ambiente con due arcate cieche laterali (quella di destra ospita il confessionale ligneo) coronato da una volta a botte. Fontana rinuncia all’uso degli ordini e riduce le membrature alla trabeazione che corre all’imposta della volta, degli arconi e della calotta. La luce fluisce all’interno dalle due lunette ai lati dell’invaso centrale e da quella, più piccola, sopra l’ingresso.

In alzato l’impostazione planimetrica si traduce in una composizione di volumi elementari subordinati al corpo che accoglie l’ambiente centrale. Il prospetto principale ricalca in buona parte il disegno conservato tra le carte dell’architetto. Il registro inferiore appare modellato da un bugnato liscio a intonaco, che nei due corpi laterali giunge sino all’architrave delle porte (al momento dell’esecuzione gli venne probabilmente preferita l’attuale superficie a intonaco liscio, già attestata dalle fotografie storiche), mentre nel corpo centrale è circoscritto ai due leggeri risalti che affiancano il portale, coronato da una trabeazione su mensole assai più snella di quella (in pietra artificiale ed evidentemente eseguita in un secondo momento) che oggi incombe, greve, sul portale di serizzo. Il bugnato si muta nei conci, pure modellati a intonaco, che nel prospetto delineato da Fontana compongono l’arco su ciascuno dei due ingressi laterali e, nel corpo centrale, ritmano lo spazio fra la trabeazione e l’imposta della lunetta.

Poche le attestazioni iconografiche dell’originaria decorazione pittorica interna, in parte attribuita da Martinola ad Antonio Rinaldi, pittore di Tremona attivo anche come frescante in diverse chiese della regione. Tale decorazione fu drasticamente alterata dal “restauro” attuato negli anni Settanta del XX secolo, che portò anche alla sostituzione dell’altare, alla rimozione del pavimento originale e della balaustra del presbiterio, così come dell’altare laterale dedicato alla Madonna. Un più recente intervento, sollecitato da problemi di umidità alle murature e portato a termine nel 2017, ha condotto a un’ulteriore sostituzione della pavimentazione e dell’arredo liturgico del presbiterio, ora composto di un nuovo altare e un ambone in calcestruzzo nero, adornati, rispettivamente, da una Pietà in mosaico e da un Angelo dell’Annuncio dell’artista Samuele Gabai.

Tratto da: Nicola Navone, "Luigi Fontana nella Valle di Muggio. Opere di architettura religiosa", in Finestre sull'arte tra Valle di Muggio e Val Mara. Dall'epoca romana a oggi, MEVM / Fondazione Ticino Nostro / Salvioni, 2022, pp. 238-242.