Opere d'arte

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Finestre sull'arte tra Valle di Muggio e Val Mara.
Dall'epoca romana ad oggi

a cura di Ivano Proserpi (MEVM)
MEVM, Ticino Nostro, Salvioni edizioni, 2022

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Affreschi del Trecento a due passi dalle gole della Breggia

 

Testimonianza preziosa nel panorama artistico lombardo della prima metà del Trecento, i dipinti murali nella chiesa di San Pietro, anche detta Chiesa Rossa, sono l’opera di un pittore convenzionalmente chiamato Maestro di Castel San Pietro. Fatto raro per il Medioevo ticinese, sono agganciabili a una data e alla figura di un committente. Furono infatti realizzati a coronamento della costruzione della chiesa intrapresa nel 1343 per volere del vescovo di Como Bonifacio da Modena, come testimonia l’epigrafe della lapide in facciata (oggi sostituita da una copia; l’originale è esposta all’interno della chiesa). La consacrazione dell’altare nel 1345, ricordata da una seconda iscrizione che corre lungo il profilo anteriore della mensa, segna molto probabilmente la fine dei lavori.

La decorazione copre tutte le pareti dell’aula unica absidata. Sui muri della navata e della controfacciata si articola su otto registri sovrapposti, in un’alternanza di fregi decorativi ed elementi di finta architettura: questi ultimi—mensoloni prospettici declinati in colori sempre diversi—occupano il primo, il terzo, il quinto e l’ottavo registro. La seconda fascia, invece, accoglie medaglioni con busti di angeli e santi; il quarto, elementi quadrilobi tra fogliami e inflorescenze; il sesto, motivi a trifoglio rossi e bianchi, mentre il settimo presenta racemi di acanto.

[...] L’opera del “Maestro di Castel San Pietro” presenta legami con altri episodi pittorici ticinesi e della regione comasca. Analogie sono riscontrabili con i dipinti della basilica di Sant’Abbondio a Como, verosimilmente eseguiti nei primi decenni del Trecento. Per alcuni studiosi tali analogie sono così strette da indurre a ipotizzare che si tratti dello stesso pittore. Per altri, invece, tali punti di contatto si spiegherebbero ipotizzando una formazione del Maestro di Castel San Pietro all’interno della bottega che operò nel Sant’Abbondio, dove lavorò come aiutante. Effettivamente sia a Castel San Pietro, sia nel Sant’Abbondio ritroviamo la stessa gamma di partiti ornamentali— i mensoloni prospettici, le finte lastre di marmo, le finte ghiere delle finestre, ma anche gli intagli e mosaici cosmateschi e il nastro a spirale— condotti in maniera affine. Differenze, tuttavia, sono rilevabili nel trattamento delle fisionomie delle figure che a Castel San Pietro presentano volti più larghi, tratti più morbidi e una resa chiaroscurale meno marcata.

Al Maestro di Castel San Pietro è stata attribuita anche l’esecuzione dei murali nel chiostro di Sant’Agostino a Como, sull’arco absidale del San Biagio di Ravecchia, nella Badia di Vertemate (oggi scomparsi, ma documentati da fotografie) e nella chiesa di Sant’Orsola a Como.

Tratto da: Irene Quadri, "Affreschi del Trecento a due passi dalle gole della Breggia. Castel San Pietro, Chiesa Rossa", in Finestre sull'arte tra Valle di Muggio e Val Mara. Dall'epoca romana a oggi, MEVM / Fondazione Ticino Nostro / Salvioni, 2022, pp. 75-78.

 

L’Apocalisse sopra la testa: Morbio Superiore, oratorio di Sant’Anna

 

Fra i diversi oratori edificati nella regione durante il Sei e il Settecento quello di Sant’Anna a Morbio Superiore è di particolare interesse, da una parte per le vicende costruttive dall’altra per la presenza di un affresco dall’iconografia inusuale. Originariamente ubicato in posizione isolata nei pressi del nucleo del villaggio, all’incrocio delle due strade che da Castel San Pietro portavano rispettivamente in valle e a Vacallo, esso fu costruito tra il 1692 ed il 1705 sulle rovine di una precedente cappella, documentata dal XVI secolo e già chiamata la giesiola, in parte inglobata nel nuovo oratorio. L’attuale dedicazione alla madre della Madonna ha sostituito quella tradizionale alla Beata Vergine delle Grazie, la cui immagine, recuperata dall’antico sacello e sistemata intorno al 1760 in un nuovo altare accanto alle figure dei santi Rocco e Sebastiano, testimonia della devozione popolare da parte dei viandanti che si fermavano per una preghiera lungo un’importante via di transito tra la pianura e la Valle di Muggio.

Sulla volta, all’interno di una cornice che delimita un’ellissi a mo’ di cupola, l’ampio affresco, che raffigura L’Apocalisse con la vittoria dell’Immacolata sul Male, attira lo sguardo dei fedeli. Su uno sfondo paesaggistico che allude all’isola di Patmos, san Giovanni evangelista, intento a scrivere accanto al suo tipico attributo, ossia l’aquila che gli regge il calamaio, è sorpreso dal sopraggiungere dell’orrenda bestia a sette teste coronate, munita di ali uncinate, zampe pelose e una lunga coda proiettata nel cielo fra le stelle che trascinerà a terra. Al di sopra del mostro la Vergine, con i piedi sulla luna e la testa coronata di dodici stelle, siede su di una morbida nuvola, aprendo le braccia in segno di sorpresa e di benevolenza. Un angelo, accorso in suo aiuto, brandisce la croce con la quale, a mo’ di lancia, cerca di ferire la belva. Al centro del dipinto, avvolto da un bagliore di luce giallognola, si scorge l’anziano e barbuto Onnipotente che assiste alla scena e verso il quale, oltre alla colomba dello Spirito santo, si dirige il minuto e ignudo Bambin Gesù, appena partorito da Maria e salvatosi dalla ferocia del mostro infernale. Compartecipi dell’evento uno stuolo di angeli e di putti occupa lo spazio celestiale del Paradiso, contraddistinto da un cielo azzurrino chiazzato di nuvole rosate e grigie. Nei pennacchi i quattro profeti Davide, Salomone, Isaia e Michea, recano messaggi ricavati dalla Sacre Scritture, in particolare dal Cantico dei Cantici. L’iconografia del dipinto rispecchia dunque le visioni allegorico- simboliche dell’Apocalisse di san Giovanni relative al conflitto tra il regno di Dio e la potenza del mondo (12, 1–9). La donna rappresenta la Chiesa e nel contempo la madre di Gesù, mentre il dragone dalle sette teste Satana.

Come documentato, il grande affresco della volta e i quattro profeti dei pennacchi furono dipinti nel 1705, nell’ultima fase del cantiere. Il nome dell’autore non è indicato nei documenti d’archivio menzionati; una trentina di anni fa Simonetta Coppa e Sabina Gavazzi Nizzola hanno riconosciuto la mano del pittore comasco Pietro Bianchi detto il Bustino (?– 1725), figlio adottivo del pittore Antonio Crespi Castoldi. La sua presenza a Morbio non è casuale ma è da collegare allo stuccatore Gianfrancesco Silva, autore degli eleganti stucchi che fanno da cornice ai dipinti murali, con il quale—unitamente alla bottega di Agostino Silva—egli aveva collaborato a partire dagli anni Ottanta del XVII secolo in numerosi cantieri per la decorazione di edifici sacri lungo le rive occidentali del Lario, a Como e negli immediati dintorni, come pure in Valtellina e in Val Chiavenna.

Tratto da: Ivano Proserpi, "L’Apocalisse sopra la testa. Morbio Superiore, oratorio di Sant’Anna", in Finestre sull'arte tra Valle di Muggio e Val Mara. Dall'epoca romana a oggi, MEVM / Fondazione Ticino Nostro / Salvioni, 2022, pp. 159-163.

 

Il monumento a Emilio Bossi a Bruzella

 

Nel pomeriggio di domenica 4 ottobre 1931, «in un tripudio di sole e in un palpito di innumeri vessilli», venne ufficialmente inaugurato il monumento «alla memoria del limpido pensatore e del paladino pugnace».680 Dalle colonne dei quotidiani Il Dovere e Gazzetta ticinese, entrambi organi del partito liberale-radicale, sin dalla metà di settembre il segretariato del partito rendeva noto che l’opera, commissionata allo scultore Apollonio Pessina, era già stata fusa in bronzo presso le officine di Milano, mentre a Bruzella fervevano i preparativi per la sua posa. Il comitato d’organizzazione era riuscito a mantenere la parola di inaugurare il monumento in onore di Emilio Bossi a dieci anni dalla sua scomparsa e comunicava il programma dettagliato della cerimonia una settimana prima. Vista la difficoltà nel trovare un locale adatto, non era stato organizzato un banchetto ufficiale, ma si segnalavano vari ristoranti a Bruzella e dintorni, dove potersi recare per il pranzo, mentre si chiedeva alle varie società e ai singoli gruppi di provvedere alla trasferta, tenendo presente che la strada non consentiva l’impiego di «vetture che abbiano più di due metri di larghezza, raccomandando agli automobilisti la massima prudenza segnatamente nel tratto Morbio Superiore-Bruzella». 

[L’opera] raffigura Emilio Bossi, seduto su un sedile rivestito con un panneggio; egli ha il braccio sinistro appoggiato su un libro e lo sguardo fisso, rivolto lontano, verso la valle sottostante che si apre. Questo lavoro in bronzo è collocato, in posizione sopraelevata, all’interno di una struttura semicircolare in granito rosa; sui lati concavi della parete di fondo del monumento, a sinistra si legge «Via recta via certa», mentre a destra «Ad veritatem per scientiam», due motti in latino, ideati da Francesco Chiesa per ricordare il pensiero che guidava Emilio Bossi. Sui due pilastri laterali, che concludono il monumento, vi sono invece le iscrizioni con la dedica dei liberali radicali ticinesi a Emilio Bossi.

Emilio Bossi «fu avvocato, giornalista, uomo politico, libero pensatore e massone». Nacque a Bruzella il 31 dicembre del 1870 e frequentò il ginnasio di Mendrisio e il liceo di Lugano negli stessi anni di Francesco Chiesa, laureandosi in diritto presso l’università di Ginevra. Qui iniziò la sua carriera in ambito giornalistico, collaborando ad alcune testate ticinesi, che venivano stampate nella città di Calvino. Rientrato in Ticino dopo gli studi universitari, aprì uno studio di avvocato e si trasferì a vivere a Lugano. In lotta con la parte più conservatrice del partito liberale, per il quale militava, nel 1897 fu tra i fondatori dell’Unione radicale sociale ticinese e in seguito uno dei maggiori esponenti dell’Estrema radicale, corrente sorta nel 1902, cui diede voce, fondando e dirigendo il giornale L’Azione. Noto polemista, collaborò per il giornale Il Dovere dal 1891, diventando famoso con il battagliero anagramma-pseudonimo di Milesbo. Dopo aver creato, insieme a Francesco Chiesa, il quotidiano Idea Moderna, che uscì solo nel 1895, passò a Gazzetta ticinese, che diresse fra il 1915 e il 1920, anno in cui tornò a Il Dovere in qualità di direttore, anche se per poco tempo, poiché lo colse la morte.

[...] Diversamente da quanto proposto in varie declinazioni da Apollonio Pessina, il monumento di Bruzella [...] non ha caratteri simbolici, tantomeno propagandistici o celebrativi, ma ritrae la figura di Emilio Bossi con intenti unicamente commemorativi.

Tratto da: Paola Capozza, "Il monumento a Emilio Bossi a Bruzella", in Finestre sull'arte tra Valle di Muggio e Val Mara. Dall'epoca romana a oggi, MEVM / Fondazione Ticino Nostro / Salvioni, 2022, pp. 305-309.