Confine
Pezzi di frontiera = Grenzen und Grenzelemente
a cura di Mark Bertogliati, Graziella Corti, Ivano Proserpi, Sabina Delkic
MEVM, 2020
L’attuale tracciato del confine nazionale nella parte settentrionale e orientale della Valle di Muggio è il risultato di negoziati, convenzioni e vertenze prodotte negli ultimi cinque secoli tra comuni limitrofi e, soprattutto, tra il Ducato di Milano e i Cantoni svizzeri che fino alla fine del XVIII secolo amministravano i Baliaggi italiani (odierno Canton Ticino).
Con il Trattato di Varese del 1752 si effettuò una totale revisione del tracciato dei confini per mettere fine alle annose controversie. La presenza della frontiera fu così materializzata sul terreno e sulle carte mediante minuziose descrizioni e mappe di confine, così come attraverso la posa di termini e pietre confinarie. La sequenza e numerazione dei cippi di confine coincide in gran parte con quella attuale. I termini furono in gran parte sostituiti nel primo Novecento durante l’ultima campagna di revisione sistematica dei confini, intercalando nuovi termini dov’era necessario. Essi sono tuttora ben visibili percorrendo la linea di frontiera.
Al confine orientale della Valle di Muggio – tra la Valle della Crotta e Roggiana presso Vacallo – la frontiera è segnalata dall’ingombrante presenza su territorio italiano della rete metallica di difesa fiscale. Si tratta di una serie di strutture oggi in evidente stato di abbandono e degrado che furono realizzate dalle autorità italiane tra gli ultimi anni dell’Ottocento e la prima metà del Novecento.
Tramite tracce di sentiero poco conosciute e oggi invase dalla vegetazione è possibile raggiungere queste strutture visibili dal cippo 41 presso l’Alpe del Corno, sotto il Sasso Gordona, fino al cippo 60 situato a Roggiana. È un percorso di oltre 10 km lungo valli, versanti e creste che si discosta di pochi metri dal confine in territorio italiano. Lungo questo tortuoso itinerario sono visibili scale di ronda, resti di garitte e imponenti caserme, tratti con piantane di ferro o pali in legno e reti di filo spinato, faggi corrazzati con spuntoni, ponti e cancelli in metallo. Sono, queste, le testimonianze tangibili della rete, conosciuta dalla popolazione della regione con il termine dialettale ramina.
Dall’Alpe del Corno fino alla vetta del Monte Generoso il confine è delimitato in modo tangibile solo dai cippi in pietra. Negli immediati dintorni della linea di confine sono però ben visibili le case delle dogane su territorio svizzero (Bonello) e italiano (Prabello), le imponenti fortificazioni risalenti alla Grande Guerra lungo la cosiddetta Linea Cadorna (Sasso Gordona), come pure le piccole garitte in cui si riparavano le guardie. Sono stati definiti i luoghi dell’attesa.
L’odierno confine italo-svizzero nel Canton Ticino prende forma a partire dal XVI secolo con gli accordi posteriori alla Battaglia di Marignano (1515). I cippi di confine più antichi ancora oggi presenti si trovano nella zona di Stabio e risalgono proprio a quell’epoca. L’imposizione di dazi e la presenza di regimi fiscali differenti nei paesi confinanti diedero origine al contrabbando (comunque probabilmente praticato in altre forme e in altri contesti già nelle epoche precedenti). Questo fenomeno era favorito nella nostra regione anche dalla morfologia tormentata del territorio e dal clima più mite che agevolava i traffici illeciti transfrontalieri anche durante l’inverno. Dal profilo sociale e culturale le popolazioni di frontiera non concepivano in passato l’esistenza di confini calati dall’alto che risultavano entità artificiose e ostacoli alla tradizionale mobilità delle persone, dalle attività agricole ai commerci e al lavoro migrante.
Il fenomeno dei traffici di frodo ha assunto nel corso dei secoli una rilevanza economica e sociale nelle regioni di frontiera. Dal Ducato di Milano si importavano legalmente e illecitamente grani, riso e sale. Dall’odierno Canton Ticino si esportavano risorse forestali, generi coloniali e manifatture. Durante il Risorgimento si esportavano dal Mendrisiotto e dal Luganese caffè, tabacco e materiale di propaganda antiaustriaca stampato nelle tipografie con cui collaboravano celebri esuli italiani.
Durante la Seconda guerra mondiale, temporaneamente, i flussi s’invertirono a causa del razionamento in vigore nella Confederazione. Riso, caffè e altri generi alimentari vennero quindi contrabbandati in Svizzera e le guardie di confine elvetiche dovettero entrare in azione, con esiti anche drammatici soprattutto negli ultimi anni di guerra.
Nel secondo dopoguerra si intensificò il contrabbando delle sigarette, le cosiddette “bionde”. In seguito le modalità e i generi di contrabbando mutarono radicalmente. Verso la metà degli anni 1970 “il cosiddetto contrabbando romantico – o, meglio, contrabbando sociale, nel doppio senso di attività radicata nella società e di attività esercitata per sbarcare il lunario – tramonta definitivamente a seguito dell’apprezzamento del franco svizzero: i margini di guadagno sono oramai esigui e agli spalloni non resta altro che appendere definitivamente la bricolla al chiodo” (Adriano Bazzocco, La frontiera come risorsa, 2017). Oggi gli antichi sentieri e le vicende dei contrabbandieri sono ai più ignoti, anche se gli anziani della regione ben ricordano l’epoca degli spalloni.